Fonte: Ansa.it
Sono quasi 2 milioni (1.944.000) in Italia i giovani tra i 25 e 34 anni senza lavoro. Un numero che ci fa guadagnare il primato negativo in Europa per il piu' alto tasso di giovani inattivi: 25,9% a fronte del 15,7% della media Ue. Lo rileva l'Ufficio studi della Confartigianato sottolineando come la situazione peggiori decisamente nel Mezzogiorno e per le giovani donne: 1.120.000 i giovani disoccupati al sud mentre la quota femminile e' pari a 1.341.000.
"Ho compiuto una scelta. Da sindacalista ed attuale componente della segreteria regionale siciliana della Fillea-Cgil, ho scelto di lottare a difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori e di oppormi ad ogni forma di protervia criminale all'interno dei cantieri" (Ignazio Giudice)
martedì 25 ottobre 2011
Infiltrazioni mafiose in edilizia. Al palo il sistema delle white list
Fonte: Siciliainformazioni.com
Di Rosario Cauchi
Da alcuni mesi, in Parlamento, si discute di contrasto agli interessi della criminalità organizzata in settori
strategici dell'economia italiana: su tutti, quello dell'edilizia.
Tra gli strumenti da tempo ritenuti più adatti alla missione, le cosiddette white list: elenchi di imprese pulite redatti ed aggiornati dalla prefetture.
Tra spontaneismo e interventi legislativi, però, questo sistema tarda a partire e, in alcuni casi, non si è mai avviato.
“Al momento – sostiene il componente della segreteria regionale siciliana della Fillea Cgil Ignazio Giudice – il sistema delle white list è, per così dire, in stand by. Molte prefetture non hanno mai stilato elenchi in grado di raccogliere i riferimenti alle imprese sane e, per questa ragione, da tutelare nell'assegnazione soprattutto degli appalti pubblici”.
In una direttiva del giugno di un anno fa, firmata dal ministro dell'interno Roberto Maroni ed indirizzata ai prefetti, si richiamava esplicitamente la necessità di redigere white list in grado di marcare la differenza fra imprese trasparenti ed aziende sospette: con particolare attenzione all'intera filiera edile, dalla vendita di inerti al sistema dei noli.
“Spesso – continua il sindacalista – non si riesce a capire il perché dei ritardi. E' vero che, soprattutto al sud, le prefetture sono impegnate su vari fronti. E' altrettanto vero, però, che senza queste liste difficilmente le amministrazioni pubbliche potranno sempre compiere i necessari controlli volti ad impedire l'assegnazione di appalti a società perlomeno grigie”.
Ma neanche l'attività delle camere appare brillare quanto ad efficacia nella preparazione di una specifica disciplina di legge in materia.
Lo scorso 13 settembre, nel corso di un'audizione davanti ai componenti delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati, l'ingegnere Vincenzo Bonifati, delegato per i rapporti con le istituzioni per conto dell'Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha aspramente criticato il contenuto dell'articolo 5 del disegno di legge “per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”.
Il provvedimento, infatti, istituisce, ufficialmente, le white list.
Ma, stando ai membri dell'Ance, proprio l'articolo 5 sarebbe assai generico nell'individuare i metodi di controllo da applicare e la loro periodicità.
La vera perplessità sollevata dai costruttori riguarda l'assenza di un obbligo d'iscrizione all'interno delle white list: quindi, questi elenchi, in assenza di modifiche legislative, diverrebbero semplici raccomandazioni alle quali le amministrazioni pubbliche potranno, o meno, conformarsi.
Insomma, un vero buco nell'acqua.
Fra i costruttori, infatti, è ancora vivo il ricordo del fallimento delle white list avviate per la ricostruzione dopo il sisma abruzzese: anche in quel caso, l'iscrizione negli elenchi stilati dalle prefetture non era obbligatoria, e i risultati, fatti di molteplici inchieste giudiziarie, non si sono fatti attendere.
“Il sindacato – conclude Giudice – non può che sperare nell'avvio di un sistema effettivamente capace di innalzare un muro all'accesso nei cantieri, favorendo le vere imprese e punendo, sonoramente, quelle che impongono il loro dominio partendo da basi patrimoniali illegali. Ne va del futuro di centinaia e centinaia di lavoratori”.
Di Rosario Cauchi
Da alcuni mesi, in Parlamento, si discute di contrasto agli interessi della criminalità organizzata in settori
strategici dell'economia italiana: su tutti, quello dell'edilizia.
Tra gli strumenti da tempo ritenuti più adatti alla missione, le cosiddette white list: elenchi di imprese pulite redatti ed aggiornati dalla prefetture.
Tra spontaneismo e interventi legislativi, però, questo sistema tarda a partire e, in alcuni casi, non si è mai avviato.
“Al momento – sostiene il componente della segreteria regionale siciliana della Fillea Cgil Ignazio Giudice – il sistema delle white list è, per così dire, in stand by. Molte prefetture non hanno mai stilato elenchi in grado di raccogliere i riferimenti alle imprese sane e, per questa ragione, da tutelare nell'assegnazione soprattutto degli appalti pubblici”.
In una direttiva del giugno di un anno fa, firmata dal ministro dell'interno Roberto Maroni ed indirizzata ai prefetti, si richiamava esplicitamente la necessità di redigere white list in grado di marcare la differenza fra imprese trasparenti ed aziende sospette: con particolare attenzione all'intera filiera edile, dalla vendita di inerti al sistema dei noli.
“Spesso – continua il sindacalista – non si riesce a capire il perché dei ritardi. E' vero che, soprattutto al sud, le prefetture sono impegnate su vari fronti. E' altrettanto vero, però, che senza queste liste difficilmente le amministrazioni pubbliche potranno sempre compiere i necessari controlli volti ad impedire l'assegnazione di appalti a società perlomeno grigie”.
Ma neanche l'attività delle camere appare brillare quanto ad efficacia nella preparazione di una specifica disciplina di legge in materia.
Lo scorso 13 settembre, nel corso di un'audizione davanti ai componenti delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati, l'ingegnere Vincenzo Bonifati, delegato per i rapporti con le istituzioni per conto dell'Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha aspramente criticato il contenuto dell'articolo 5 del disegno di legge “per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”.
Il provvedimento, infatti, istituisce, ufficialmente, le white list.
Ma, stando ai membri dell'Ance, proprio l'articolo 5 sarebbe assai generico nell'individuare i metodi di controllo da applicare e la loro periodicità.
La vera perplessità sollevata dai costruttori riguarda l'assenza di un obbligo d'iscrizione all'interno delle white list: quindi, questi elenchi, in assenza di modifiche legislative, diverrebbero semplici raccomandazioni alle quali le amministrazioni pubbliche potranno, o meno, conformarsi.
Insomma, un vero buco nell'acqua.
Fra i costruttori, infatti, è ancora vivo il ricordo del fallimento delle white list avviate per la ricostruzione dopo il sisma abruzzese: anche in quel caso, l'iscrizione negli elenchi stilati dalle prefetture non era obbligatoria, e i risultati, fatti di molteplici inchieste giudiziarie, non si sono fatti attendere.
“Il sindacato – conclude Giudice – non può che sperare nell'avvio di un sistema effettivamente capace di innalzare un muro all'accesso nei cantieri, favorendo le vere imprese e punendo, sonoramente, quelle che impongono il loro dominio partendo da basi patrimoniali illegali. Ne va del futuro di centinaia e centinaia di lavoratori”.
mercoledì 19 ottobre 2011
Accordo Confindustria - Ance contro mafia
Fonte: Ansa.it
Confindustria e Ance hanno siglato un protocollo per intensificare l'azione di contrasto alle infiltrazioni della criminalita' organizzata con l'obiettivo di aiutare le istituzioni a bonificare il territorio e permettere alle aziende di operare in un ambiente sano e competitivo. Tra i punti principali dell'accordo l'attuazione di una white list delle imprese operanti in settori ad alto rischio di infiltrazione criminale. Gli elenchi saranno istituiti presso le Prefetture.
Confindustria e Ance hanno siglato un protocollo per intensificare l'azione di contrasto alle infiltrazioni della criminalita' organizzata con l'obiettivo di aiutare le istituzioni a bonificare il territorio e permettere alle aziende di operare in un ambiente sano e competitivo. Tra i punti principali dell'accordo l'attuazione di una white list delle imprese operanti in settori ad alto rischio di infiltrazione criminale. Gli elenchi saranno istituiti presso le Prefetture.
martedì 18 ottobre 2011
"Chi non denuncia il pizzo è cancellato". Confcommercio Sicilia, approvato il nuovo codice etico
Fonte: Siciliainformazioni.com
I commercianti siciliani che pagano i pizzo senza denunciarlo da oggi verranno sospesi da Confcommercio, mentre chi verra' condannato in via definitiva per reati mafiosi verra' espulso dall'associazione. Sono soltanto alcune delle norme previste nel nuovo codice etico approvato oggi, all'unanimita', da Confcommercio Sicilia. Undici articoli in cui si impegnano i soci non solo a "rifiutare ogni rapporto con le organizzazioni mafiose" ma anche "fornire una guida morale ai consumatori".
A presentare il codice etico alla stampa sono il presidente di Confcomemrcio Sicilia Pietro Agen, Luca Squeri presidente della commissione per le Politiche di sicurezza e legalita' di Confcommercio nazionale e Claudio Risicato, presidente dell'associazione Antiracket di Catania. Chi non firmera' il codice etico "verra' allontanato dalla dirigenza" come tiene a sottolineare il presidente regionale Agen che ribadisce: "oggi e' partita la resistenza. Adesso si tratta di incoraggiare i nostri associati perche' non bisogna piu' avere paura. Da qui parte una nuova primavera". E ancora: "Oggi non ci sono piu' scuse per nessuno".
I commercianti siciliani che pagano i pizzo senza denunciarlo da oggi verranno sospesi da Confcommercio, mentre chi verra' condannato in via definitiva per reati mafiosi verra' espulso dall'associazione. Sono soltanto alcune delle norme previste nel nuovo codice etico approvato oggi, all'unanimita', da Confcommercio Sicilia. Undici articoli in cui si impegnano i soci non solo a "rifiutare ogni rapporto con le organizzazioni mafiose" ma anche "fornire una guida morale ai consumatori".
A presentare il codice etico alla stampa sono il presidente di Confcomemrcio Sicilia Pietro Agen, Luca Squeri presidente della commissione per le Politiche di sicurezza e legalita' di Confcommercio nazionale e Claudio Risicato, presidente dell'associazione Antiracket di Catania. Chi non firmera' il codice etico "verra' allontanato dalla dirigenza" come tiene a sottolineare il presidente regionale Agen che ribadisce: "oggi e' partita la resistenza. Adesso si tratta di incoraggiare i nostri associati perche' non bisogna piu' avere paura. Da qui parte una nuova primavera". E ancora: "Oggi non ci sono piu' scuse per nessuno".
domenica 16 ottobre 2011
Cig riprende corsa, +50% a settembre
Fonte: Ansa.it
Riparte a settembre la corsa della cassa integrazione. Mettendo insieme i dati di tre distinte ricerche di Cgil, Cisl e Uil, emerge infatti che la cassa integrazione, dopo l'estate, ha ripreso a correre, con un aumento del 50% rispetto ad agosto (mese che potrebbe pero' essere viziato dal calo stagionale dovuto alle ferie) e del 3,7% su luglio, e un incremento particolarmente significativo nelle regioni del Mezzogiorno (+80% su agosto). I lavoratori in cassa a zero ore sono 470mila.
Riparte a settembre la corsa della cassa integrazione. Mettendo insieme i dati di tre distinte ricerche di Cgil, Cisl e Uil, emerge infatti che la cassa integrazione, dopo l'estate, ha ripreso a correre, con un aumento del 50% rispetto ad agosto (mese che potrebbe pero' essere viziato dal calo stagionale dovuto alle ferie) e del 3,7% su luglio, e un incremento particolarmente significativo nelle regioni del Mezzogiorno (+80% su agosto). I lavoratori in cassa a zero ore sono 470mila.
Manifesto dei professionisti liberi. Professionisti, LiberoFuturo e Addiopizzo, insieme contro la mafia
La straordinaria diffusione e pericolosità del sistema mafioso impone ad ogni soggetto sociale, singolo o associato, pubblico o privato, di svolgere un ruolo attivo nel contrastarlo.
Siamo convinti, infatti, che la Mafia si potrà sconfiggere solo se a combatterla non saranno più alcuni soggetti isolati, ma tutte le istituzioni, compresi gli Ordini Professionali oltre che la larga maggioranza della società civile. All'origine della nascita degli Ordini c'è stata, tra l'altro, la necessità di vigilare sul corretto comportamento degli iscritti. Probabilmente questa funzione, con il trascorrere degli anni, ha perso l'importanza che il legislatore le aveva attribuito.Per tutto ciò, il "Comitato dei PROFESSIONISTI LIBERI", insieme a LiberoFuturo e Addiopizzo, ha ritenuto utile redigere uno specifico Manifesto che, oltre a riprendere quanto già regolato dalle norme e dai codici deontologici, possa essere osservato nell'ambito più specifico della lotta al racket del pizzo ed al sistema mafioso.
Tutti coloro che sottoscriveranno la "Dichiarazione di impegno" entreranno a far parte di una lista di professionisti che sarà resa pubblica. Il Manifesto contiene norme etiche specifiche che, una volta sottoscritte, impegneranno pubblicamente al loro rispetto e all'attenta osservanza ogni singolo professionista, pena l'esclusione dalla lista stessa. Il Manifesto è rivolto a tutti i professionisti siano essi liberi professionisti o dipendenti pubblici e privati.
Essi, sottoscrivendolo, si impegnano a rispettarne le indicazioni nell'ambito delle loro competenze professionali e responsabilità individuali.
DICHIARAZIONE DI IMPEGNO
___________________________________________________________________________
IO SOTTOSCRITTO, CONSAPEVOLE CHE L’INOSSERVANZA COSTITUIREBBE
VIOLAZIONE DEI DOVERI DEONTOLOGICI PROFESSIONALI, MI IMPEGNO:
1.ad adoperarmi perché l’attività professionale sia esercitata nel rispetto degli interessi della
collettività in considerazione della sua funzione sociale e a non svolgere l’attività
professionale in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana;
2.a denunciare, con il sostegno delle associazioni antiracket della FAI, ogni illecita richiesta
di danaro, prestazione o altra utilità formulata anche attraverso agenti, rappresentanti o
dipendenti e, comunque, ogni illecita interferenza riscontrata nell’esercizio delle mie
specifiche competenze professionali;
3.a respingere e denunciare qualsiasi altra forma di pressione o imposizione mafiosa tesa
a condizionare la mia attività e autonomia professionale;
4.a non prestare la mia opera professionale, anche sotto forma di pareri e consigli, a
soggetti condannati per mafia o comunque incorsi in gravi violazioni di legge, qualora
non previsto per legge e salvi i casi di necessità, per salvaguardare i diritti fondamentali
della persona umana, come il diritto alla salute ed il diritto alla difesa nel giusto processo;
5.a non proporre o concludere affari o stringere patti societari con soggetti imputati o
condannati per mafia;
6.a denunciare, qualora non contravvenga allo specifico segreto professionale previsto per
legge o dagli specifici Codici deontologici professionali, ogni intimidazione o
imposizione mafiosa di cui dovessi venire a conoscenza nello svolgimento della mia
attività e comunque nell’ambito delle mie specifiche competenze professionali e
responsabilità individuali;
7.ad informare il Comitato, senza omissioni, su tutte le vicende rilevanti, giudiziarie e non,
che riguardano la mia attività professionale;
8.a prestare la massima collaborazione per la prevenzione dell'uso del sistema finanziario
a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose;
9.a spingere i miei committenti, qualora fossero taglieggiati, a denunciare gli estorsori;
10.a preferire, sia nello svolgimento dell'attività professionale che nella qualità di cittadino
consumatore, i prodotti, i beni e i servizi offerti dai Professionisti Liberi, dalle imprese
inserite nel circuito del Consumo critico Addiopizzo e dalle aziende che producono sui
beni confiscati alle Mafie.
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IO SOTTOSCRITTO, CONSAPEVOLE CHE L’INOSSERVANZA COSTITUIREBBE
VIOLAZIONE DEI DOVERI DEONTOLOGICI PROFESSIONALI, MI IMPEGNO:
1.ad adoperarmi perché l’attività professionale sia esercitata nel rispetto degli interessi della
collettività in considerazione della sua funzione sociale e a non svolgere l’attività
professionale in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana;
2.a denunciare, con il sostegno delle associazioni antiracket della FAI, ogni illecita richiesta
di danaro, prestazione o altra utilità formulata anche attraverso agenti, rappresentanti o
dipendenti e, comunque, ogni illecita interferenza riscontrata nell’esercizio delle mie
specifiche competenze professionali;
3.a respingere e denunciare qualsiasi altra forma di pressione o imposizione mafiosa tesa
a condizionare la mia attività e autonomia professionale;
4.a non prestare la mia opera professionale, anche sotto forma di pareri e consigli, a
soggetti condannati per mafia o comunque incorsi in gravi violazioni di legge, qualora
non previsto per legge e salvi i casi di necessità, per salvaguardare i diritti fondamentali
della persona umana, come il diritto alla salute ed il diritto alla difesa nel giusto processo;
5.a non proporre o concludere affari o stringere patti societari con soggetti imputati o
condannati per mafia;
6.a denunciare, qualora non contravvenga allo specifico segreto professionale previsto per
legge o dagli specifici Codici deontologici professionali, ogni intimidazione o
imposizione mafiosa di cui dovessi venire a conoscenza nello svolgimento della mia
attività e comunque nell’ambito delle mie specifiche competenze professionali e
responsabilità individuali;
7.ad informare il Comitato, senza omissioni, su tutte le vicende rilevanti, giudiziarie e non,
che riguardano la mia attività professionale;
8.a prestare la massima collaborazione per la prevenzione dell'uso del sistema finanziario
a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose;
9.a spingere i miei committenti, qualora fossero taglieggiati, a denunciare gli estorsori;
10.a preferire, sia nello svolgimento dell'attività professionale che nella qualità di cittadino
consumatore, i prodotti, i beni e i servizi offerti dai Professionisti Liberi, dalle imprese
inserite nel circuito del Consumo critico Addiopizzo e dalle aziende che producono sui
beni confiscati alle Mafie.
giovedì 13 ottobre 2011
La memoria in marcia. La mafia non è solo Matteo Messina Denaro e i grandi sistemi criminali. E' l'estorsore che chiede il pizzo...
Fonte: Siciliainformazioni.com
Sono trascorsi quasi 20 anni dal 23 maggio del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro , Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Da allora parole come mafia e legalità non sono più un tabù, sono entrate a far parte del linguaggio quotidiano e via via sono anche diventate patrimonio comune. Ormai sembra quasi che la mafia sia diventata un lontano ricordo. Ma non è così, non è vero. Continua ad ammorbare ogni giorno l’aria che respiriamo in modi e forme più o meno evidenti, negli atteggiamenti che purtroppo sono ancora da “malacarne”, nelle piccole o grandi illegalità che quotidianamente si consumano nella nostra terra e che sono ancora un retaggio evidente delle logiche di Cosa Nostra.
La mafia non è soltanto Matteo Messina Denaro, i capimafia più conosciuti e i grandi sistemi criminali. E’ anche e soprattutto l’estorsore che vuole uccidere l’economia sana e pulita chiedendo il pizzo, la prepotenza e l’arroganza di chi pensa che tutto gli sia consentito, il mettere la testa sotto la sabbia dinanzi ai soprusi ed alle illegalità, con la convinzione che “è così che va il mondo”.
A Palermo ci sono i mafiosi ma ci sono anche e soprattutto le persone perbene. Sono quelle che hanno partecipato in massa ai funerali delle vittime della strage di Capaci, che hanno gridato la loro indignazione, la loro vergogna, il loro anelito di libertà da Cosa Nostra. Negli anni la partecipazione della parte migliore della nostra terra alle manifestazioni contro la Mafia si è affievolita. Non è venuta meno la voglia dell’impegno civile, forse ci si è solo stufati di eventi più di facciata che di sostanza, che servono solo ad accendere i riflettori per breve tempo su Cosa Nostra e talvolta a dare visibilità all’uomo o alla donna più in vista del momento.
Ma c’è di più. Per molti di noi questa pagina buia della storia italiana e siciliana è anche un pezzo di vissuto, una parte della propria vita, un evento che ci ha segnato e cambiato. Ma per le nuove generazioni non è così. Una ragazza o un ragazzo di vent’anni non lo conoscono come vissuto. Per loro è un evento della passato, della “storia”. Recente ma pur sempre storia. Occorre, allora, non soltanto la manifestazione di facciata, l’evento organizzato per le scuole al quale i ragazzi e bambini partecipano così come potrebbero partecipare a un evento letto sui libri, raccontato dagli insegnanti. Serve partecipazione attiva di tutti, serve una memoria da tramandare nel tempo non solo come un capitolo di storia ma caricandola di tutte le emozioni che ognuno di noi, poliziotto o magistrato, giornalista o cittadino, hanno vissuto e continuano a rivivere ogni anno.
E’ ora di tornare a metterci la faccia, riappropriandosi del proprio diritto, da singolo cittadino, di urlare il proprio disgusto verso la mafia e verso i modi di essere mafiosi. Dobbiamo avere uno scatto d’orgoglio e dire che ciascuno di noi ricorda e compie, nel proprio piccolo, atti di “quotidiano eroismo” per dire che la mafia è “una montagna di merda” (Peppino Impastato cit.).
Quest’anno l’associazione “Quarto Savona Quindici” (il nome in codice della squadra a cui era assegnata la tutela di Giovanni Falcone), presieduta da Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta del giudice ucciso, sta organizzando una catena umana che partirà dall’aeroporto la mattina del 23 maggio e si snoderà lungo l’autostrada Mazara Del Vallo-Palermo per concludersi alle 17.58, ora in cui avvenne la strage. Ognuno di voi può dare il proprio contributo in qualsiasi forma per testimoniare che basta poco per essere “Capaci”. La manifestazione non sarà appannaggio di pochi, ma di tutte le persone perbene che vogliono ricordare momenti bui della nostra storia e riaffermare la speranza in un domani migliore. Non ci saranno etichette di alcun genere, risultati personali da conseguire o interessi speculativi da rincorrere. La catena umana sarà di ciascuno di noi.
Sono trascorsi quasi 20 anni dal 23 maggio del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro , Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Da allora parole come mafia e legalità non sono più un tabù, sono entrate a far parte del linguaggio quotidiano e via via sono anche diventate patrimonio comune. Ormai sembra quasi che la mafia sia diventata un lontano ricordo. Ma non è così, non è vero. Continua ad ammorbare ogni giorno l’aria che respiriamo in modi e forme più o meno evidenti, negli atteggiamenti che purtroppo sono ancora da “malacarne”, nelle piccole o grandi illegalità che quotidianamente si consumano nella nostra terra e che sono ancora un retaggio evidente delle logiche di Cosa Nostra.
La mafia non è soltanto Matteo Messina Denaro, i capimafia più conosciuti e i grandi sistemi criminali. E’ anche e soprattutto l’estorsore che vuole uccidere l’economia sana e pulita chiedendo il pizzo, la prepotenza e l’arroganza di chi pensa che tutto gli sia consentito, il mettere la testa sotto la sabbia dinanzi ai soprusi ed alle illegalità, con la convinzione che “è così che va il mondo”.
A Palermo ci sono i mafiosi ma ci sono anche e soprattutto le persone perbene. Sono quelle che hanno partecipato in massa ai funerali delle vittime della strage di Capaci, che hanno gridato la loro indignazione, la loro vergogna, il loro anelito di libertà da Cosa Nostra. Negli anni la partecipazione della parte migliore della nostra terra alle manifestazioni contro la Mafia si è affievolita. Non è venuta meno la voglia dell’impegno civile, forse ci si è solo stufati di eventi più di facciata che di sostanza, che servono solo ad accendere i riflettori per breve tempo su Cosa Nostra e talvolta a dare visibilità all’uomo o alla donna più in vista del momento.
Ma c’è di più. Per molti di noi questa pagina buia della storia italiana e siciliana è anche un pezzo di vissuto, una parte della propria vita, un evento che ci ha segnato e cambiato. Ma per le nuove generazioni non è così. Una ragazza o un ragazzo di vent’anni non lo conoscono come vissuto. Per loro è un evento della passato, della “storia”. Recente ma pur sempre storia. Occorre, allora, non soltanto la manifestazione di facciata, l’evento organizzato per le scuole al quale i ragazzi e bambini partecipano così come potrebbero partecipare a un evento letto sui libri, raccontato dagli insegnanti. Serve partecipazione attiva di tutti, serve una memoria da tramandare nel tempo non solo come un capitolo di storia ma caricandola di tutte le emozioni che ognuno di noi, poliziotto o magistrato, giornalista o cittadino, hanno vissuto e continuano a rivivere ogni anno.
E’ ora di tornare a metterci la faccia, riappropriandosi del proprio diritto, da singolo cittadino, di urlare il proprio disgusto verso la mafia e verso i modi di essere mafiosi. Dobbiamo avere uno scatto d’orgoglio e dire che ciascuno di noi ricorda e compie, nel proprio piccolo, atti di “quotidiano eroismo” per dire che la mafia è “una montagna di merda” (Peppino Impastato cit.).
Quest’anno l’associazione “Quarto Savona Quindici” (il nome in codice della squadra a cui era assegnata la tutela di Giovanni Falcone), presieduta da Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta del giudice ucciso, sta organizzando una catena umana che partirà dall’aeroporto la mattina del 23 maggio e si snoderà lungo l’autostrada Mazara Del Vallo-Palermo per concludersi alle 17.58, ora in cui avvenne la strage. Ognuno di voi può dare il proprio contributo in qualsiasi forma per testimoniare che basta poco per essere “Capaci”. La manifestazione non sarà appannaggio di pochi, ma di tutte le persone perbene che vogliono ricordare momenti bui della nostra storia e riaffermare la speranza in un domani migliore. Non ci saranno etichette di alcun genere, risultati personali da conseguire o interessi speculativi da rincorrere. La catena umana sarà di ciascuno di noi.
“Chi fa questo lavoro ha capacità di scegliere fra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce. Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco”. (Tratto da un’intervista ad Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone, ucciso, a 29 anni, il 23 maggio 1992)
venerdì 7 ottobre 2011
Gela, intimidazione al sindacalista Ignazio Giudice
Fonte: Liberainformazione.org
Di Rosario Cauchi
Ignazio Giudice, componente della segreteria regionale della Fillea Cgil, ha denunciato al commissariato della polizia di Gela, sua città natale, di aver subito una pesante intimidazione. Il sindacalista, ieri pomeriggio, all'uscita dalla sede della camera del lavoro della città nissena, ha ritrovato la propria Fiat Punto danneggiata. Giudice ha dichiarato di aver notato un evidente graffio a forma di croce su una delle fiancate. L'auto era stata parcheggiata, all'inizio del pomeriggio, proprio davanti alla camera del lavoro di via Pitagora. «Questa mattina, dopo aver riflettuto – dice il sindacalista – ho sporto denuncia al commissariato della polizia. Ho dichiarato che, secondo la mia opinione, questa vigliaccheria riguarda l'attività sindacale che ho svolto fino ad oggi». Giudice, infatti, in qualità di componente della segreteria regionale della Fillea, ha, nelle ultime settimane, criticato l'intenso utilizzo di manodopera in nero all'interno dei cantieri di Gela e non solo. Ha puntato il dito in direzione dell'aumento dei contratti part time in edilizia, a suo dire utilizzati solo per coprire rapporti di lavoro full time e garantire risparmi agli imprenditori.
Si è schierato anche in favore di tre lavoratori edili di un'azienda, un tempo attiva nell'indotto del petrolchimico gelese, licenziati e non più riassorbiti. «Sto notando un aumento della tensione – conclude – mi capita spesso di accompagnare presso le forze dell'ordine delegati sindacali delle società dell'indotto Eni che subiscono avvertimenti ed intimidazioni: dai copertoni delle automobili tagliati ai messaggi di non proseguire nella loro azione». Indagini, intanto, sono state avviate dalla polizia per comprendere chi possa esserci dietro il messaggio intimidatorio recapitato al sindacalista.
Di Rosario Cauchi
Ignazio Giudice, componente della segreteria regionale della Fillea Cgil, ha denunciato al commissariato della polizia di Gela, sua città natale, di aver subito una pesante intimidazione. Il sindacalista, ieri pomeriggio, all'uscita dalla sede della camera del lavoro della città nissena, ha ritrovato la propria Fiat Punto danneggiata. Giudice ha dichiarato di aver notato un evidente graffio a forma di croce su una delle fiancate. L'auto era stata parcheggiata, all'inizio del pomeriggio, proprio davanti alla camera del lavoro di via Pitagora. «Questa mattina, dopo aver riflettuto – dice il sindacalista – ho sporto denuncia al commissariato della polizia. Ho dichiarato che, secondo la mia opinione, questa vigliaccheria riguarda l'attività sindacale che ho svolto fino ad oggi». Giudice, infatti, in qualità di componente della segreteria regionale della Fillea, ha, nelle ultime settimane, criticato l'intenso utilizzo di manodopera in nero all'interno dei cantieri di Gela e non solo. Ha puntato il dito in direzione dell'aumento dei contratti part time in edilizia, a suo dire utilizzati solo per coprire rapporti di lavoro full time e garantire risparmi agli imprenditori.
Si è schierato anche in favore di tre lavoratori edili di un'azienda, un tempo attiva nell'indotto del petrolchimico gelese, licenziati e non più riassorbiti. «Sto notando un aumento della tensione – conclude – mi capita spesso di accompagnare presso le forze dell'ordine delegati sindacali delle società dell'indotto Eni che subiscono avvertimenti ed intimidazioni: dai copertoni delle automobili tagliati ai messaggi di non proseguire nella loro azione». Indagini, intanto, sono state avviate dalla polizia per comprendere chi possa esserci dietro il messaggio intimidatorio recapitato al sindacalista.
giovedì 6 ottobre 2011
Lavoro: 3 milioni in nero, evasi 42,7 miliardi
Fonte: Ansa.it
Sono quasi 3 milioni i lavoratori in nero in Italia, un esercito che produce quasi 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5% del Pil nazionale. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, viene cosi' sottratto un gettito alle casse dello Stato di 42,7 miliardi di euro l'anno. In termini pro-capite, le imposte evase medie in capo a ciascun cittadino italiano ammontano a 709 euro.
Sono quasi 3 milioni i lavoratori in nero in Italia, un esercito che produce quasi 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5% del Pil nazionale. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, viene cosi' sottratto un gettito alle casse dello Stato di 42,7 miliardi di euro l'anno. In termini pro-capite, le imposte evase medie in capo a ciascun cittadino italiano ammontano a 709 euro.
mercoledì 5 ottobre 2011
Morire di fame o d'amianto
Fonte: Peacereporter.net
Di Stella Spinelli
Gli operai dello stabilimento Eni di Gela da decenni lottano per vedersi riconosciuto il diritto a percepire il sussidio speciale previsto per chi è stato sottoposto ad amianto. Una battaglia lunga e piena di delusioni, complicata dal fatto che l'Ente energetico corse ai ripari eliminando - almeno ufficialmente - il dannoso materiale pochi mesi prima dell'entrata in vigore della legge n.257 che impone il divieto assoluto di utilizzo dell'amianto a fini industriali o commerciali. Una mossa che quindi mise fuori gioco ogni rivalsa dei lavoratori, i quali, comunque, non si sono arresi e sono andati avanti ritenendosi dalla parte del giusto. Anni di lotta e di lavoro, durante i quali si sono consolati con la certezza che perlomeno da quel momento in poi avrebbero lavorato in un luogo sicuro. Poi il colpo di scena: a fine luglio, all'interno dell'isola 32 dello stabilimento, militari della guardia costiera e del nucleo speciale d'intervento di Roma hanno scoperto una grande vasca contenente almeno 27 tonnellate di amianto, del tipo amosite, conservate nella totale inosservanza delle regole. Teloni bucati, sacchi aperti e, di conseguenza, fibre d'amianto libere di essere trascinate dal vento e inalate dai lavoratori.
Una scoperta scioccante, che ha messo ulteriormente in allarme gli operai. L'impresa che "mette in circolo l'energia", ha continuato imperterrita in questi anni a mettere in circolo anche ben altro: sostanze nocive che - in base ai dati dell'Organizzazione mondiale della sanità - ogni anno uccidono centomila persone nel mondo, secondo cifre che gli esperti definiscono sottostimate. Per non contare i ventimila tumori per cancro al polmone e i diecimila casi di meotelioma che provoca ogni dodici mesi nei soli paesi industrializzati di Europa, America del Nord e Giappone. E, per stringere il cerchio alla sola Italia, si parla di 4000 decessi annui, in un paese che è stato il secondo produttore europeo e tra i principali consumatori della sostanza, che - secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro - resta ancora ben lontana dall'essere estirpata dal territorio nazionale. La stima è di 32 milioni di tonnellate di amianto ancora sparse per tutta la penisola e di un miliardo di metri quadri di coperture di eternit sui tetti.
Stando ai legali che seguono il caso dei lavoratori gelesi esposti all'amianto, la scoperta della discarica testimonia la politica industriale usata da Eni a Gela: ovvero occultare il materiale senza eliminarlo e dare una parvenza di regolarità, alla faccia della salute della gente. Come ha scritto Rosario Cauchi nell'articolo apparso su Libera Informazione, i responsabili locali di Raffineria di Gela s.p.a. - società appartenente alla multinazionale lombarda - non rilasciano commenti limitandosi a emanare comunicati stampa nei quali si rinvia l'intera questione alle indagini in corso. Ma nei molti dossier sul caso emerge che all'interno del sito industriale vi sono evidenti tracce di pericolosi minerali silicei. I veri nemici dei lavoratori, infatti, si chiamano crocidolite e amosite, anche conosciuti come amianto blu e amianto bruno: tra le fibre più pericolose per la salute umana. Eppure, nonostante questi documenti che evidenziano la presenza attiva del killer silenzioso siano comprovati, i contributi previdenziali in favore dei lavoratori che hanno operato a contatto con le fibre vengono riconosciuti, dopo lunghe battaglie legali, solo a coloro che possano dimostrare di essere affetti da patologie conclamate.
Senza minimamente tener conto che l'effetto si può manifestare anche dopo 40 anni dal contagio, come sostengono gli epidemiologi.
Intanto a Gela, dopo il sequestro della discarica contenuta nella quarta vasca dell'isola 32, Enimed Spa ha provveduto a ricoprirla come richiesto dalla Capitaneria di Porto e dall'Asp di Caltanissetta. Secondo la legge, infatti, dopo a ogni abbandamento di materiale contenente amianto, si deve aggiungere uno strato di terra e un telo protettivo in plastica. Ma poco importa. È comunque troppo tardi e gli operai sono decisi a farla pagare ai responsabili. Già nell'agosto dello scorso anno, infatti, a seguito di un'ispezione, era stato riscontrato l'uso di teloni deteriorati dal tempo che, inevitabilmente, non bloccavano la diffusione in atmosfera delle pericolose fibre. Ma nessuno ha mosso un dito per rimediare. Dopotutto, quella iniziata a luglio scorso non è che l'ennesima inchiesta che coinvolge i vertici dell'industria gelese che hanno, spesso, negato persino la presenza di amianto all'interno del sito.
Di Stella Spinelli
Gli operai dello stabilimento Eni di Gela da decenni lottano per vedersi riconosciuto il diritto a percepire il sussidio speciale previsto per chi è stato sottoposto ad amianto. Una battaglia lunga e piena di delusioni, complicata dal fatto che l'Ente energetico corse ai ripari eliminando - almeno ufficialmente - il dannoso materiale pochi mesi prima dell'entrata in vigore della legge n.257 che impone il divieto assoluto di utilizzo dell'amianto a fini industriali o commerciali. Una mossa che quindi mise fuori gioco ogni rivalsa dei lavoratori, i quali, comunque, non si sono arresi e sono andati avanti ritenendosi dalla parte del giusto. Anni di lotta e di lavoro, durante i quali si sono consolati con la certezza che perlomeno da quel momento in poi avrebbero lavorato in un luogo sicuro. Poi il colpo di scena: a fine luglio, all'interno dell'isola 32 dello stabilimento, militari della guardia costiera e del nucleo speciale d'intervento di Roma hanno scoperto una grande vasca contenente almeno 27 tonnellate di amianto, del tipo amosite, conservate nella totale inosservanza delle regole. Teloni bucati, sacchi aperti e, di conseguenza, fibre d'amianto libere di essere trascinate dal vento e inalate dai lavoratori.
Una scoperta scioccante, che ha messo ulteriormente in allarme gli operai. L'impresa che "mette in circolo l'energia", ha continuato imperterrita in questi anni a mettere in circolo anche ben altro: sostanze nocive che - in base ai dati dell'Organizzazione mondiale della sanità - ogni anno uccidono centomila persone nel mondo, secondo cifre che gli esperti definiscono sottostimate. Per non contare i ventimila tumori per cancro al polmone e i diecimila casi di meotelioma che provoca ogni dodici mesi nei soli paesi industrializzati di Europa, America del Nord e Giappone. E, per stringere il cerchio alla sola Italia, si parla di 4000 decessi annui, in un paese che è stato il secondo produttore europeo e tra i principali consumatori della sostanza, che - secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro - resta ancora ben lontana dall'essere estirpata dal territorio nazionale. La stima è di 32 milioni di tonnellate di amianto ancora sparse per tutta la penisola e di un miliardo di metri quadri di coperture di eternit sui tetti.
Stando ai legali che seguono il caso dei lavoratori gelesi esposti all'amianto, la scoperta della discarica testimonia la politica industriale usata da Eni a Gela: ovvero occultare il materiale senza eliminarlo e dare una parvenza di regolarità, alla faccia della salute della gente. Come ha scritto Rosario Cauchi nell'articolo apparso su Libera Informazione, i responsabili locali di Raffineria di Gela s.p.a. - società appartenente alla multinazionale lombarda - non rilasciano commenti limitandosi a emanare comunicati stampa nei quali si rinvia l'intera questione alle indagini in corso. Ma nei molti dossier sul caso emerge che all'interno del sito industriale vi sono evidenti tracce di pericolosi minerali silicei. I veri nemici dei lavoratori, infatti, si chiamano crocidolite e amosite, anche conosciuti come amianto blu e amianto bruno: tra le fibre più pericolose per la salute umana. Eppure, nonostante questi documenti che evidenziano la presenza attiva del killer silenzioso siano comprovati, i contributi previdenziali in favore dei lavoratori che hanno operato a contatto con le fibre vengono riconosciuti, dopo lunghe battaglie legali, solo a coloro che possano dimostrare di essere affetti da patologie conclamate.
Senza minimamente tener conto che l'effetto si può manifestare anche dopo 40 anni dal contagio, come sostengono gli epidemiologi.
Intanto a Gela, dopo il sequestro della discarica contenuta nella quarta vasca dell'isola 32, Enimed Spa ha provveduto a ricoprirla come richiesto dalla Capitaneria di Porto e dall'Asp di Caltanissetta. Secondo la legge, infatti, dopo a ogni abbandamento di materiale contenente amianto, si deve aggiungere uno strato di terra e un telo protettivo in plastica. Ma poco importa. È comunque troppo tardi e gli operai sono decisi a farla pagare ai responsabili. Già nell'agosto dello scorso anno, infatti, a seguito di un'ispezione, era stato riscontrato l'uso di teloni deteriorati dal tempo che, inevitabilmente, non bloccavano la diffusione in atmosfera delle pericolose fibre. Ma nessuno ha mosso un dito per rimediare. Dopotutto, quella iniziata a luglio scorso non è che l'ennesima inchiesta che coinvolge i vertici dell'industria gelese che hanno, spesso, negato persino la presenza di amianto all'interno del sito.
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