Fonte: "La Sicilia"
«Una crisi senza precedenti che preoccupa i lavoratori e gli imprenditori. Ma questa non sarebbe la prima volta, l'edilizia, pur essendo per natura l'unico settore anticiclico, mai come quest'anno ha toccato il fondo facendo fallire progetti familiari e tante piccole e medie imprese, il cuore del settore delle costruzioni. Vi è una novità e questa per la prima volta. I genitori si preoccupavano per i figli, il loro presente, l'imminente futuro, la cosiddetta "prospettiva", ora, nel 2010, a Gela, e non solo, i figli si preoccupano per i genitori, la lunga cassa integrazione che ha colpito tutti i lavoratori dell'indotto Eni di Gela, la mobilità in deroga prorogata a molti lavoratori ed ancora non pagata perché la regione siciliana non ha fondi, le ferie obbligatorie che fanno saltare in media 200 euro al mese a lavoratore con un danno alla pensione che sa di sfregio della politica litigiosa a danno di tanti uomini e donne, giovani e non più giovani, che vorrebbero vivere anche con 1000 euro nette al mese e con la speranza di assicurare un'abitazione decente, magari non abusiva, alla propria famiglia e il diritto allo studio se si sceglie di assumersi la responsabilità di diventare genitori»: così Ignazio Giudice, segretario provinciale della Fillea Cgil.
Cosa ha causato la crisi dell'edilizia a Gela? La perdita di un salario certo, sicuro e garantito, a circa 400 lavoratori edili presenti nell'indotto industriale Eni di Gela, l'aumento del lavoro nero a danno dei lavoratori, della loro sicurezza individuale in caso di infortunio, a danno delle imprese oneste che intendono rispettare le leggi, dell'immagine della città, dell'economia legale che sempre meno trova spazio perché soffocata dalla presenza di personaggi spregiudicati capaci di tutto quasi fossero intoccabili e impunibili.
Solo questo?
Fino ad oggi abbiamo denunciato e commentato questo aspetto, che è quello d'impatto, è il primo punto che emerge durante le assemblee sindacali, ma vi è di più dentro questa crisi. Tanto globale tanto gelese. Si stanno modificando comportamenti sociali, la crisi, che nel mondo della produzione industriale si manifesta attraverso cassa integrazione, mobilità, esuberi, sta stravolgendo anche il valore che tra un lavoratore e l'altro fino a poco tempo fa era presente e predominante, il sentirsi gruppo, uniti, immodificabili, o più semplicemente "colleghi", magari per tutta la vita. Oggi si pensa al singolare, si parla al singolare, si cerca da soli l'impresa edile che ha lavoro, si lascia da soli la disponibilità, se in piazza, come accade in tutte le città meridionali si sa di un'azienda che sta facendo colloqui, lo dici il giorno dopo l'assunzione e non più quando vai, e non per scaramanzia ma perché il lavoro è poco, insicuro e incerto e quindi meglio non parlare.
Chi è oggi il lavoratore edile?
Spesso il figlio del lavoratore edile, in altre occasioni è il giovane con un diploma di geometra che fa il manovale, con la licenza liceale che fa l'aiuto carpentiere, il perito industriale che fa l'imbianchino. E' anche il geometra iscritto all'albo che ha perso l'occupazione e , attraverso una pesante retrocessione professionale, accetta la nuova condizione lavorativa mandando in macerie la professionalità acquisita.
Cosa è stata Gela negli ultimi 10 anni?
Gela è stata dichiarata area ad alto rischio ambientale, ad alto tasso di criminalità minorile, è stata accertata la presenza di due distinte fazioni mafiose, Cosa Nostra e Stidda, e ha potuto beneficiare della programmazione negoziata (contratto d'area, legge 488 per nuovi insediamenti, ampliamenti e/o riconversione, patto territoriale per l'agricoltura). Inoltre l'Organizzazione Mondiale della Sanità sta studiando il caso Gela e noi insistiamo che vi è un nesso tra patologie tumorali e presenza della grande industria di cui Gela ancora "gode".
Oggi, di cosa c'è bisogno?
Di un percorso serio, programmato, costante e intelligente che eviti l'imbarbarimento nella città già sede di molte disfunzioni storiche ed endemiche. Dobbiamo arginare per poi riuscire a bloccare il continuo esodo di interi nuclei familiari che seguono il destino del parente che ha trovato lavoro al Nord o all'estero; incentivare le scuole di arti e mestieri che ti consegnano un'istruzione finalizzata a ciò che il contesto offre nella speranza di arricchirlo di competenze magari specifiche; prevedere una cospicua somma in bilancio comunale e provinciale che consente la sperimentazione locale di incentivi ai giovani che hanno un'idea imprenditoriale perché ciò potrebbe rappresentare la vera svolta; liberarci culturalmente dall'ubriacamento seguito da intossicazione generato dalla presenza dell'Eni a Gela che ancora, anche se il fenomeno si è ridimensionato, continua ad essere la destinataria del curriculum di centinaia di giovani che puntualmente nella maggioranza assoluta dei casi non riceve nessuna comunicazione neanche per un colloquio all'estero; controllare senza sosta il rapporto istituzione locale - Eni, istituzione locale e sistema imprenditoriale che chiede le concessioni edilizie, perché i Comuni hanno un ruolo fondamentale e strategico nel decremento del lavoro irregolare e sommerso. A Gela, dove insistono centinaia di prospetti incolore, soprattutto nelle case costruite abusivamente e successivamente condonate, potremmo avere la grande risorsa per uscire dalla crisi del settore che è in parte la crisi della città, fare i prospetti, abbellire i marciapiedi, stringere un patto forte tra lavoratori, istituzioni e piccoli artigiani. Ciò che gli imprenditori edili annunciano ora, cioè nel secondo semestre 2010, la Fillea Cgil l'ha sostenuto già due anni fa, l'estero attrae e per fuggire basta un motivo, per esempio il calo dei bandi pubblici o la legge sugli appalti che tende a dequalificare il settore delle opere pubbliche, o il dramma vissuto da decine di cooperative e non solo dell'accesso al credito.
Quale proposta lancia il sindacato?
Da Gela può partire la proposta di rivisitare i contenuti degli stati generali dell'edilizia che tanto in ambito nazionale quanto in ambito regionale sono stati importanti per mettere d'accordo soggetti sociali diversi su alcuni obiettivi che, purtroppo, ad oggi, stentano a trovare attuazione e praticabilità. Da Gela, può partire la proposta della riconversione industriale basata sul destino delle aree messe a disposizione dall'Eni per nuovi insediamenti che non possono prescindere dall'accettazione oggettiva che una crescita complementare alla grande industria è necessaria e urgente per evitare "una guerra civile" in chiave contemporanea.
Cosa è utile invece?
Non è sufficiente né per il sindacato né per il lavoratore dell'indotto iscriversi alla tifoseria pro o contro l'Eni. Non serve a nulla, neppure a sfogarsi. E' utile , invece, parlare un linguaggio comprensibile che parta da una considerazione: chi ha responsabilità per il presente e il futuro della città tutto può fare tranne andarsene, ne consegue che rimanere significare trattare l'Eni e il suo indotto come merita e cioè come un tratto trentennale di storia industriale che non può dissolversi in nome del piano industriale che i gelesi ricorderemo come l'addio garbato dei successori di Mattei che una volta sedotti ci possono anche abbandonare. Credo, e non sono il solo, che prendere coscienza della crisi dell'edilizia nella nostra provincia sia sufficiente a rivendicare il diritto ad ottenere le giuste attenzioni per infrastrutturare l'intero territorio per renderlo meno africano e un po' più europeo o, più semplicemente normale così come meritano i 280 mila abitanti della provincia di Caltanissetta.
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