Caltanissetta, imprese a perdere tra crisi, imbrogli e soldi facili
CALTANISSETTA - La provincia delle imprese morte è qui, al centro della Sicilia, duecentosessantamila anime, poco più o poco meno. è proprio qui, da questo comprensorio dal quale tanti ragazzi fuggono per cercare lavoro o per studiare, che una recentissima indagine di Unioncamere, l' organismo centrale delle Camere di commercio, ha individuato, negli ultimi cento giorni, un tasso di mortalità di imprese unico in tutto il territorio siciliano. Nelle altre province, infatti, i dati portano tutti un segno positivo. Solo da queste parti le cose vanno in controtendenza con indicazioni opposte. In quello che una volta era il cuore minerario d' Italia, in poco più di tre mesi hanno chiuso i battenti ben trentuno imprese. Tante, certamente troppe per un' economia da stato d' assedio.

Probabilmente gli strumenti di finanza agevolata, come la "488", hanno prodotto altre cattedrali nel deserto e falsa occupazione. Bisogna quindi cambiare registro facendo al Sud impresa d' eccellenza non assistita. Sono d' accordo sulla necessità di tentare di capire quali sono le imprese che hanno chiuso, così da dare la giusta lettura di un fenomeno pericoloso che adesso non è possibile leggere compiutamente. Credo che comunque una riflessione complessiva sia necessaria». Tonino Collura, architetto, per sei anni è stato il general manager dell' ufficio Progetti speciali per l' amministrazione provinciale di Caltanissetta: «Qui - dice - ci sono stati tre patti territoriali: uno per la città, uno per la zona sud e uno per l' agricoltura. Altri due progetti, poi, hanno fruito dei fondi di Agenda 2000. Probabilmente molti imprenditori li hanno utilizzati come una sorta di miraggio, senza prospettive di vendita dopo la produzione. è necessaria un' analisi del corto circuito che si è verificato e del perché questa provincia non è più appetibile agli occhi degli investitori esterni». «La "488" - aggiunge il comandante Ardizzone - poneva puntelli ben precisi. Gli imprenditori che ne hanno fruito dovevano prima realizzare e poi incassare. Per farlo dovevano indebitarsi a breve con le banche in conto anticipi, pagando i dovuti interessi. Dovevano poi fare fronte a spese per autorizzazioni ambientali, di urbanizzazione, quelle di competenza dei consulenti che istruivano le pratiche e altri ammennicoli. A conti fatti, del contributo, agli imprenditori rimaneva solo un sessanta per cento. Gli altri si perdevano per strada. In queste condizioni, chi non è solido muore». «C' è anche il rischio - scrive Ignazio Giudice nel suo documento-denuncia - che in tutto questo possa esserci una strategia mafiosa». Guido Marino, che è questore di Caltanissetta dallo scorso mese di agosto, non si sbilancia ma alcune considerazioni le fa: «Se in tutto questo ci sia la mano di un' organizzazione criminale o meno - dice - non posso dirlo. Non ho dati che lo affermino. Constato, comunque, come a Gela, grazie anche a un sindaco che si è mosso in modo coerente e continuo, si sia creata un' associazione antiracket solida e affidabile. Mi chiedo perché a Caltanissetta la stessa cosa non sia possibile. Spero nell' immediato futuro». «Il trasferimento delle sedi sociali e, quindi, la morte di un' azienda in una provincia e la sua nascita in un' altra - dice ancora il colonnello Ardizzone - spesso segnalano la necessità di taluni imprenditori di cambiare aria, se non per motivi di carattere criminale, quanto meno per ragioni finanziarie. A volte gli uni e le altre sono collegati. Per avere solo un' idea del fenomeno posso solo dire che, ogni giorno, autorizzo almeno due auto con militari del Comando provinciale a effettuare verifiche fuori dalla provincia». Il nodo è qui. «Solo capendo quando sono nate e come sono morte queste trentuno imprese - insiste Giudice - si può capire. è un fenomeno che con coraggio si deve affrontare».
- SERGIO NIGRELLI
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