giovedì 30 settembre 2010

 DOSSIER MAFIA, PRESENTATA RELAZIONE DIA CALTANISSETTA

 30.09.2010
Valerio Martines
Fonte: "La Sicilia" ed.Caltanissetta

Ora i mafiosi, nel Nisseno, hanno la loro "Cosa Nostra & Stidda Spa". Quella che fa affari con gli imprenditori collusi, che tratta coi politici, e che di riflesso mette radici nel sistema produttivo e si presenta alle gare d'appalto. Capace di radicarsi perfino nel circuito finanziario di un territorio. Così i mafiosi, come camaleonti, cambiano pelle. Modificano la loro strategia d'azione e addirittura spaziano altrove. L'export del malaffare che sconfina dalla provincia nissena e si radica nel resto d'Italia. È uno dei tanti spunti che offre la relazione della Direzione investigativa antimafia, che esamina il fenomeno criminale provinciale nel periodo compreso tra luglio e dicembre 2009. Un dossier che focalizza gli aspetti che contraddistinguono la vecchia dalla nuova mafia.
"COSA NOSTRA È DOMINANTE". «La situazione criminale della provincia di Caltanissetta - scrivono gli investigatori della Dia - risulta contraddistinta dalla presenza dominante di Cosa Nostra, alla quale è riconducibile la gran parte degli eventi di chiara matrice mafiosa, strumentali al rafforzamento sul territorio dell'organizzazione stessa, in particolare nei territori di Caltanissetta, Gela, Riesi, Mazzarino, Niscemi, Serradifalco, Campofranco e Vallelunga Pratameno».
"LA PAX MAFIOSA". Resta immutato il patto di non belligeranza tra boss e picciotti affiliati a Cosa Nostra e Stidda. «L'organizzazione stiddara, la cui influenza è ancora presente e attiva - si legge ancora nella relazione - manifesta un profilo di continuità nel mantenimento di relazione pacifiche con i sodalizi di Cosa Nostra, in particolare nei territori di Gela e Niscemi, improntando i comportamenti alla ricerca di criteri di condivisione di talune progettualità criminali, di ripartizione delle sorgenti illecite di arricchimento mafioso e di spartizione dei proventi di delitto».
"IL BOSS MADONIA COMANDA ANCORA". Non variano neppure i mandamenti mafiosi nel Nisseno, con Vallelunga, Mussomeli, Gela e Riesi che fanno capo all'anziano boss Piddu Madonia, che seppur da anni costretto al regime del carcere duro continua a comandare attraverso il circuito parentale. Una circostanza avvalorata dall'inchiesta "Atlantide-Mercurio". «Le famiglie del cosiddetto Vallone risultano tradizionalmente legate al contesto e alla vicende delle famiglie palermitane, mentre quelle dei territori di Gela, Riesi, Niscemi e Mazzarino sembrerebbe essere più caratterizzate da dinamismi associativi più fluidi, con interessi ed attività criminali non strettamente ancorate al dominio localistico, ma anche tese alla proiezione degli illeciti in dimensioni extraregionali e internazionali. Le strategie criminali complessive della provincia - è un altro passaggio della relazione - così come emergono dai riscontri investigativi del semestre, sembrano possedere un momento unificante non solo nell'esprimere un basso profilo di esposizione, come funzione mimetica rispetto all'azione di contrasto, ma anche nel ricercare un costante perfezionamento qualitativo del classico spettro di lucrose attività delittuose primarie, specie per quanto attiene alle forme tipiche delle estorsioni e dell'infiltrazione nei pubblici appalti e nei circuiti finanziari».
"IL SISTEMA MAFIA&APPALTI". In quest'ottica gli esperti della Dia citano la recente inchieste "Cerberus" che ha svelato gli interessi della famiglia mafiosa Emmanuello che, attraverso un imprenditore prestanome collegato con una società romana, s'era infiltrata negli appalti per la costruzione del termovalorizzatore di Bellolampo, della rete irrigua nell'invaso di Disueri, e nei lavori autostradali di alcune arterie siciliane.
"LE COLLUSIONI CON LE BANCHE". Altro aspetto esaminato dalla Dia, le capacità di infiltrazione del crimine organizzato nel comparto imprenditoriale e bancario. E in proposito cita il sequestro preventivo che a ottobre colpì il costruttore nisseno Pietro Di Vincenzo, «ritenuto vicino a Cosa Nostra nissena», come viene indicato nell'atto. «Le indagini consentivano di evidenziare la responsabilità di natura penale a carico dei responsabili di tre società, nonché di soggetti preposti della banca Credito Siciliano Spa, con conseguente richiesta di provvedimento ablativo di natura preventiva, nei confronti di una società sita a Caltanissetta e di un immobile di proprietà dell'istituto bancario, ubicato in Cagliari». Nel caso specifico, a proposito della "partecipazione materiale" dei rappresentanti dell'azienda bancaria, gli inquirenti ritengono «opportuno stigmatizzare specifiche e circostanziate responsabilità riconducibili al sistema bancario, risultato talvolta assai poco cooperante nel segnalare vicende di indubbio allarme criminogeno, con riferimento a operazioni e/o procedure bancarie adottate dalla clientela e palesemente riconducibili agli standard di attivazione delle vigenti procedure antiriciclaggio».
La Dia, inoltre, punta l'indice sul comportamento di cautela da mantenere dalla banca. «Se adottato avrebbe sicuramente evitato di acquisire il ruolo processuale di volontario compartecipe nelle condotte illecite».
«COSA NOSTRA ESTRANEA DAL TRAFFICO DI DROGA». Sono i cosiddetti "cani sciolti", personaggi slegati dalla mafia che comunque tollera sufficientemente lo smercio di droga, a gestire la compravendita di stupefacenti nel Nisseno, rifornendosi però nei mercati palermitani e catanesi. Inchieste come "Zagara", Bonnie & Clyde sul versante gelese o "Cinquecento" a Mazzarino, l'hanno confermato. E nella sfera del traffico di droga, un altro spunto d'analisi rilanciato nella relazione semestrale viene inquadrato con l'arresto di tre sancataldesi nel blitz "Tridentes" per il possesso di 4 fucili a canne mozze. «In tale contesto non è da escludere che le armi detenute potessero essere utilizzate dal gruppo quale merce di scambio con una partita di sostanze stupefacenti. Le attività investigative condotte dalla Squadra Mobile - è scritto ancora nel documento della Dia - hanno evidenziato che il ruolo dei tre arrestati all'interno del contesto mafioso sancataldese era salito di livello, soprattutto all'indomani dell'omicidio di Salvatore Calì».
"FITTO INTRECCIO TRA MAFIA E POLITICA". C'è un ampio capitolo sull'intreccio fra mafia e politica che la Dia approfondisce, riferendosi allo scioglimento del Consiglio comunale di Vallelunga del 27 luglio 2009. «L'attività della Commissione prefettizia istituita nel novembre del 2008 ha evidenziato un fitto intreccio di interessi economici tra la famiglia mafiosa di Vallelunga e la classe politica locale, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, tale da condizionare pesantemente l'attività della locale Amministrazione comunale».
Inevitabile, a quel punto, il decreto di scioglimento che piomba nel paesino del Vallone. E nella relazione è spiegato l'origine di questa decisione. «L'osservazione della Squadra Mobile nissena durante le settimane immediatamente precedenti le consultazioni elettorali amministrative, svoltesi il 13 e 14 maggio 2007, aveva appurato il diretto interessamento e il coinvolgimento di alcuni noti esponenti di Cosa Nostra nella campagna elettorale in favore della lista "Montesano sindaco". Tale sostegno si era rivelato determinante per l'affermazione della lista, sostanziandosi, soprattutto, nella massiccia partecipazione ai comizi della compagine elettorale, sia di personaggi storici della cosiddetta mafia del Vallone - in grado di condizionare fortemente la politica ed il corpo elettorale - sia di nuove leve criminali, rivelandosi tali circostanze come segnali inequivocabili di una esplicita scelta politica da parte dell'organizzazione mafiosa e di un preciso indirizzo per il voto da attribuire.
I riscontri effettuati dalla Commissione prefettizia hanno inoltre evidenziato che nell'ambito della Giunta e del Consiglio comunale, e finanche nel locale Comando della Polizia municipale, erano inseriti alcuni soggetti gravati da pesanti precedenti penali o legati da vincoli di parentela e/o affinità con esponenti della locale famiglia di Cosa Nostra, o in altri casi, più volte notati in loro compagnia». Nel paese dove nacque il boss Piddu Madonia, insomma, esisteva un «sodalizio politico-mafioso», così è scritto nella relazione, nato in campagna elettorale e che «avrebbe condizionato l'azione amministrativa del Comune, specie negli appalti che i mafiosi "impresari" volevano accaparrarsi e che qualcuno, dal Municipio, avrebbe favorito per affidare lavori e forniture.
"A GELA I MAFIOSI CON I COLLETTI BIANCHI". La morte del boss gelese Daniele Emmanuello ha sì messo a dura prova la struttura del clan, che in ogni caso s'è riorganizzato nel territorio con nuovi referenti. Ma la mafia, a Gela, ha saputo progredire, secondo i mutamenti monitorati dal Centro Dia nisseno. Ci sono i delinquenti comuni, gli imprenditori collusi e poi i "colletti bianchi", categoria quest'ultima che gli inquirenti definiscono «indispensabile per le più raffinate operazioni finanziarie. Solo una rilettura attenta dei plurimi fenomeni illeciti dell'area, tra cui emergono i reati di natura fiscale, potrà illuminare l'architettura di fondo, che mette in sinergia il tessuto mafioso con gli illeciti finanziari, metodiche avanzate di accumulazione finanziaria, i flussi di riciclaggio e di reimpiego del denaro e la pianificata manipolazione dei pubblici appalti».
«ARRESTI E PENTITI, UN COLPO PER I CLAN». I tanti mafiosi che fin qui hanno saltato il fosso e gli arresti hanno indebolito Cosa Nostra e Stidda nel Nisseno. Un contributo cruciale è arrivato anche da certa imprenditoria gelese che s'è ribellata al racket delle estorsioni. Un atteggiamento che viene evidenziato nella parte conclusiva del dossier della Dia.

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